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ENI TORNA NELLO SPAZIO: DOPO
ROSETTA, IL COLOSSO PORTA LE SUE TECNOLOGIE SU MARTE
La missione "Exomars"
prevede due lanci: il primo nel 2016 e il secondo nel 2018. L'obiettivo è
studiare l'ambiente biologico della superficie e cercare eventuali tracce di
vita
Eni non è solo sinonimo di
energia. E' anche spazio. La multinazionale italiana, dopo aver partecipato
alla missione "Rosetta", che ha permesso di studiare per la prima
volta una cometa, farà parte anche dell'esplorazione planetaria
"Exomars", che vedrà protagonista Marte, il pianeta rosso. Exomars.
E' una missione russo-europea di esplorazione marziana in fase di sviluppo da
parte dell'Agenzia spaziale europea (Esa) e dall'Agenzia spaziale russa
(Roscosmos). L'obiettivo è studiare l'ambiente biologico della superficie e
cercare eventuali tracce di vita. La missione prevede due lanci: il primo nel
2016 per inviare un orbiter ed un dimostratore tecnologico di ingresso e
discesa sul pianeta rosso, e il secondo nel 2018 per spedire invece un rover
Esa, che deve prelevare dei campioni per poi eseguire delle analisi. La
missione fa parte del Programma Aurora e combina lo sviluppo tecnologico con
ricerche di grande interesse scientifico. Thales Alenia Space di Torino è il
responsabile globale del progetto. Eni, tramite la controllata Tecnomare,
insieme a Selex di Milano ha realizzato il drill, ovvero lo strumento
fondamentale per perforare Marte, in grado di scavare fino a due metri sotto la
superficie. "Lì - spiega l'Eni - si trovano i campioni incontaminati dagli
agenti ultravioletti dove si spera ci siano più probabilità di trovare tracce
di vita".
La missione Rosetta. Iniziata più
di dieci anni fa, ha visto il primo “accometaggio” della storia lo scorso
dicembre. Eni ha contribuito allo sviluppo del sistema SD2 (Sampling drilling
and distribution) il cui scopo è raccogliere i campioni del suolo e di trasferirli,
all’interno della sonda, ai diversi dispositivi che eseguono le analisi. Più
nel dettaglio Eni, sempre attraverso la controllata Tecnomare, ha progettato il
dispositivo di acquisizione dei campioni dal suolo della cometa curandone anche
l’ingegnerizzazione, la costruzione, il test e la preparazione per
l’integrazione con il lander, cioè con la sonda destinata all’atterraggio sulla
cometa. Ecco come funziona il dispositivo di acquisizione dei campioni.
E'
meccanicamente complesso, perfora il terreno fino alla profondità di 230 mm e
ricava un campione dal fondo. E' costruito in acciaio e titanio ed è in grado
di trattenere e poi rilasciare il materiale, grazie a un meccanismo coassiale
interno. Il campione viene deposto in un sistema elettromeccanico (volume
checker) che ne misura la quantità; infine il materiale viene messo all’interno
dei vari analizzatori, tramite un meccanismo a carosello. Le capacità di
perforazione tengono conto dell’ampia imprevedibilità delle reali condizioni di
resistenza della superficie della cometa, che può arrivare alla consistenza del
ghiaccio omogeneo, limitando comunque la forza di perforazione per evitare
sollecitazioni al sistema di ancoraggio. Entrambi i dispositivi, sono stati
progettati e testati per sopravvivere alle accelerazioni del lancio e per
lavorare nel vuoto fino a -160°C, e sono stati realizzati in cooperazione con Selex ES S.p.A) con finanziamento di ASI
(Agenzia Spaziale Italiana). L'impegno di Eni nel settore spaziale vede quindi
l'applicazione di tecnologie innovative sviluppate nel corso delle attività nel
settore oil and gas, soprattutto in aree particolarmente difficili come quelle
di frontiera, nello spazio. Tecnologie frutto di anni di ricerche. "Per
Eni il settore ricerca e sviluppo rappresenta un investimento, non un costo,
spiega l'azienda. Lo dimostra il fatto che il valore generato nell’anno
equivale a 4-5 volte la spesa sostenuta. La presenza di idrocarburi localizzati
in aree di frontiera tecnologica (acque profonde, zone artiche, strutture
geologiche complesse e aree sensibili) rappresenta un forte stimolo per
l'industria petrolifera ad ampliare il proprio portafoglio tecnologico".
La tecnologia ha infatti un ruolo chiave per accedere alle risorse e per
migliorare l’efficienza delle operazioni e la loro sostenibilità. E senza la
ricerca sarebbe difficile, per non dire impossibile, migliorare la tecnologia.
Senza una tecnologia all'avanguardia Eni non avrebbe fatto, per fare un
esempio, scoperte importanti come quella di poche settimane fa, che ha portato
all'individuazione in Egitto del più grande giacimento di gas del Mediterraneo.
Si tratta solo dell'ultima di una lunga lista: solo dal 2008 al 2013 sono stati
scoperti 9.5 miliardi di barili di nuove risorse, due volte e mezza la
produzione nel periodo e circa 10 volte il consumo annuale in Italia. "Il
lavoro nelle missioni spaziali - conclude l'azienda - permette a Eni di
acquisire alcuni vantaggi competitivi grazie al trasferimento di know how
nell'ambito dei controlli da remoto, alte temperature, operazioni in masse e
spazi ridotti, sistemi ad alta affidabilità. In particolare: i concetti e le
metodologie del software di telecontrollo robotico dei bracci manipolatori
“spaziali” hanno costituito la base per l’ingegnerizzazione del software di
controllo dei veicoli autonomi sviluppati internamente da Eni: Clean-Sea
(monitoraggio ambientale e asset integrity) metodologie e schemi di calcolo
utilizzati per prevedere il “comportamento” dei componenti in condizioni ambientali
e fisiche particolarmente sfidanti
(esteso range di temperature, vibrazioni)".
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