DEL DR. GIUSEPPE COTELLESSA (INMRI – ENEA)
Il CR-39 e la fusione
nucleare. Un tema sempre scottante!
"Sebbene la fusione fredda ancora
adesso sia relegata ufficialmente al rango di “pseudoscienza”, gli studi in
questo campo sono sempre più numerosi e irruenti, tuttavia il consenso del mainstream
scientifico è ancora lontano dall’essere raggiunto."
Una "traccia tripla" in un rilevatore plastico per
le radiazioni (CR-39). La prova dell'emissione di neutroni dal "palladium
deuteride", che suggerisce una reazione tra deuterio e trizio?
"In effetti lo stesso termine è
quasi un ossimoro che mitizza anche troppo questo fenomeno, pertanto nel tempo,
il termine fusione nucleare fredda viene via via abbandonato dagli addetti ai
lavori, a causa dello scetticismo preconcetto che accompagnava il fallimento
delle riproduzioni dell’esperimento originale di Martin Fleischmann e Stanley Ponsdell’Università di Salt Lake City
– Utah, abbracciando gli acronimi L.E.N.R. (Low Energy Nuclear Reactions –
Reazioni Nucleari a Bassa Energia) e C.A.N.R.(Chemically Assisted Nuclear
Reactions – Reazioni Nucleari Assistite Chimicamente), e recentemente associata
a C.M.N.S. (Condensed Matter Nuclear Science – Scienza Nucleare della Materia
Condensata), al fine di sganciarsi
sempre più dall’aura di connotazioni negative evocata da FF (o Cold
Fusion) e forse per vincere quella inseparabile diffidenza dovuta a un
dogmatico eccesso di fiducia in un metodo scientifico troppo canonico."
estratto da: http://gifh.wordpress.com/2010/07/11/fusione-fredda-un-tema-sempre-scottante/
estratto da: http://gifh.wordpress.com/2010/07/11/fusione-fredda-un-tema-sempre-scottante/
Il CR-39 è un rivelatore diretto
di particelle alfa ed indiretto di neutroni tramite la conversione di questi in
protoni.
Negli studi di ricerca sulla
fusione nucleare può essere utilizzato per tre finalità:
1) Rivelazione dell’evento della reazione di
fusione nucleare.
2) Sicurezza dal punto di vista strutturale
dei componenti meccanici utilizzati per la realizzazione dell’impianto per la
fusione nucleare.
3) Radioprotezione dei lavoratori addetti
alla ricerca e produzione di energia dalla fusione nucleare nell’eventualità
della sua realizzazione
Un problema fondamentale alla
base della realizzazione di tutti i tipi impianti nel campo della ricerca della
fusione nucleare è la misura dell’esposizione ai neutroni, perché l’esposizione
dei componenti degli impianti realizzati per la ricerca sulla fusione nucleare
ai neutroni può causare il loro danneggiamento strutturale dal punto di vista
meccanico. A tal proposito la miglior tecnica da utilizzare per la misura
dell’esposizione ai neutroni è il rivelatore definito commercialmente CR-39,
soprattutto dopo la messa a punto del procedimento del brevetto ENEA
ENRM2012A000637. Il rivelatore CR-39 è la tecnica scelta dagli USA a livello
legale anche per la misura della dose ai neutroni.
Con i rivelatori di CR-39 lavoro
all’ENEA da più di 30 anni, per la misura dell’esposizione al radon. Con la
sperimentazione legata all’approfondimento della teoria e delle originali
applicazioni del brevetto sto lavorando da più di sette anni. L’applicazione
del procedimento innovativo depositato
nel brevetto ENEA RM2012A000637 , consentirà di conseguire significativi
risultati positivi nello studio per la ricerca sulla fusione nucleare,
indipendentemente dal tipo di approccio utilizzato ed anche nella realizzazione
e sicurezza degli impianti e nella radioprotezione degli utenti.
G. Cotellessa
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DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaIl procedimento del brevetto ENEA RM2012A000637 è indispensabile anche a questo tipo di approccio per l’analisi dei rivelatori di CR-39.
I neutroni, così come i fotoni, sono indirettamente ionizzanti, e pertanto la dose assorbita nel mezzo irradiato con un fascio di neutroni dipende dalla fluenza delle particelle cariche secondarie direttamente ionizzanti prodotte dalla interazione dei neutroni con i nuclei del mezzo; tale fluenza, e le caratteristiche energetiche delle particelle cariche, dipendono dalla fluenza e dalla energia dei neutroni, poiché da essa dipende in particolare la probabilità di interazione neutroni-mezzo. A differenza della radiazione elettromagnetica, le cui interazioni con il mezzo attraversato danno luogo sostanzialmente a elettroni e fotoni, i meccanismi di interazione neutroni-mezzo producono, oltre a fotoni di diversa energia, una grande varietà di nuclei di rinculo e di particelle cariche subatomiche, che depositano la loro energia nel mezzo in modi diversi.
La dosimetria dei neutroni presenta, dunque, maggiori problemi della dosimetria della radiazione elettromagnetica, in particolare perché:
a) la probabilità di interazione dei neutroni con la materia dipende, molto più rispetto ai fotoni, dal numero atomico del materiale attraversato e dall'energia dei neutroni; l'equivalenza fra il materiale dosimetrico e il mezzo nel quale si vuole determinare la dose assorbita deve essere, dunque, molto più stretta (in particolare per quanto riguarda il contenuto di idrogeno);
b) anche nella ipotesi di un fascio primario di soli neutroni, nel mezzo si è sempre in presenza di un campo di radiazione misto n,g.
E' dunque necessario, sia in radioterapia con neutroni, sia in radioprotezione, disporre di un sistema dosimetrico in grado di discriminare e misurare separatamente i diversi contributi alla dose dovuti ai due tipi di radiazione (fotoni e neutroni), in considerazione anche della loro diversa Efficacia Biologica Relativa (RBE).
Ricerca e sviluppo di dosimetri a stato solido per neutroni in radioprotezione.
Un sistema dosimetrico promettente utilizza un rivelatore di tracce (SSNTD) quale il CR-39; la recente disponibilità di un microscopio a forza atomica ad analisi tridimensionale consentirà un'analisi fine delle tracce prodotte nel CR-39 dai protoni di rinculo dei neutroni: si potrà così determinare con accuratezza l'energia dei protoni e da questa risalire a quella dei neutroni.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaSono trascorsi circa venti anni dall’annuncio, da parte dei due Accademici Martin Fleishmann e Stanley Pons, dell’ottenimento di reazioni nucleari in reticoli metallici a temperatura ambiente.
Pochi anni dopo l’annuncio di Fleishmann e Pons furono i risultati di SRI (Stati Uniti) e dell’IMRA (Giappone) a far comprendere che il fenomeno della produzione di eccesso di potenza era un fenomeno a soglia, ossia fu compreso che non era possibile osservare il fenomeno se non veniva
raggiunta una certa concentrazione di deuterio in catodi di palladio.
Questa evidenza ha dato origine ad uno studio originale, condotto presso il Centro ENEA di Frascati, nel campo della scienza dei materiali. Gli studi si sono protratti per alcuni anni, alla fine dei quali è stato sviluppato,
sulla base di considerazioni teoriche, un processo mediante il quale è possibile ottenere del palladio capace di rendere estremamente riproducibile il raggiungimento della soglia di concentrazione necessaria per poter osservare il fenomeno.
Le attività condotte in questo ambito hanno evidenziato che:
- i guadagni di energia misurati risultavano essere, in genere, molto superiori a quelli ascrivibili a tutti i processi chimici che possono aver luogo in una cella elettrochimica del tipo di quelle utilizzate negli esperimenti;
- l’effetto della produzione di eccesso di potenza si osservava solo con deuterio e non con idrogeno;
Queste evidenze, che puntavano nella direzione del fenomeno di natura nucleare, hanno creato le condizioni affinché venissero svolti due programmi di ricerca, con fondi governativi, uno statunitense ed uno italiano.
I due programmi condotti in stretta collaborazione hanno ottenuto risultati superiori a quelli fissati come obiettivi della ricerca.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaAutoradiografia neutronica
Con il termine autoradiografia neutronica si intende il sistema utilizzato per valutare la quantità di boro nei campioni biologici. Esso si basa sulla messa in evidenza delle tracce (ottenendo, mediante attacco chimico, buchi di circa 10 µm di diametro) indotte sui rivelatori a tracce CR-39 dalle particelle alfa e dagli ioni di 7Li.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaProduzione di neutroni in radioterapia
Durante i trattamenti di radioterapia si ha produzione di particelle di varia natura, e in alcuni casi, dove vengono impiegate energie maggiori di 10 MeV, di neutroni.
E’ necessario conoscere le condizioni operative e le conseguenze che ne derivano per capire come ciò influenzi l’irraggiamento del personale da prodotti di attivazione delle parti metalliche presenti nella sala di trattamento, la dose agli operatori ai fini della loro classificazione e la dose ai pazienti. Con l’introduzione delle tecniche IMRT si ha inevitabilmente un aumento del valore di dose annuale dovute ai prodotti di attivazione.
A questo fine è necessario ricavare una prima stima della fluenza neutronica, in particolare per evidenziare le zone della sala di trattamento più interessate. Attraverso le misure sperimentali tramite CR-39 è possibile valutare la dose da neutroni.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaCONSIDERAZIONI SU IMPIANTI PER LA FUSIONE NUCLEARE
Sfortunatamente esistono tuttora notevoli barriere tra le conoscenze scientifiche e le capacità tecnologiche, barriere che mettono in dubbio la possibilità pratica di sfruttare questa forma di energia, ma malgrado le notevoli difficoltà le ricerche continuano. Un grosso problema non risolto è quello di trovare un materiale in grado di resistere all'intenso flusso di neutroni che si genera nella reazione di fusione, flusso stimato essere 100 volte maggiore di quello prodotto dai reattori a fissione tipo PWR. Lo studio di tali materiali è attualmente ancora nelle sue fasi iniziali.
Questa situazione ha fatto sì che intorno agli anni novanta si sia dato molto risalto ad alcune notizie riguardanti la possibilità di ottenere la fusione nucleare a basse temperature, la cosiddetta fusione fredda. Ulteriori ricerche condotte da numerose università, anche italiane, non hanno però portato né a risultati definitivi, né a previsioni consistenti di utilizzi concreti.
L'Unione europea si è aggiudicata la realizzazione del progetto ITER per sviluppare il primo reattore a fusione funzionante. La Francia ha battuto il Giappone nella corsa per aggiudicarsi il sito di realizzazione, sostenuta dalla Russia, dalla Cina e dalla stessa UE. La sede prescelta sarà Cadarache, nel sud del Paese.
Anche l'Italia sta studiando la possibilità di realizzare un reattore sperimentale a fusione nucleare con confinamento magnetico. Il progetto in questione si chiama IGNITOR ed è stato realizzato dall'ENEA.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaFUSIONE NUCLEARE DA PROTONI CON BORO
La fusione nucleare è attualmente la strada più promettente per arrivare a ottenere energia realmente “pulita” e virtualmente illimitata, ma per ora i risultati sono poco incoraggianti a causa dei notevoli ostacoli tecnologici incontrati.
Una parte di questi ostacoli però potrebbe essere aggirata grazie a un nuovo risultato, descritto sulle pagine della rivista “Nature Communication” da Christine Labaune dell'Ecole Polytechnique-CNRS a Polineau e colleghi di altri istituti di ricerca francesi e dell'Università dell'Arizona a Tucson: in opportune condizioni sperimentali, è possibile ottenere la fusione utilizzando come reagenti protoni e nuclei di boro, con una limitatissima emissione di neutroni ad alta energia, la cui gestione rappresenta attualmente uno dei principali problemi in questo ambito di studi.
Negli ultimi quarant'anni, gli esperimenti effettuati nel campo della fusione nucleare hanno usato principalmente i due reagenti più semplici, entrambi isotopi dell'idrogeno: il deuterio (composto da un protone e un neutrone) e il trizio (un protone e due neutroni). Questa stessa reazione di fusione, che produce un nucleo di elio (due protoni e due neutroni) e un neutrone, è quella che avviene nelle stelle "giovani", all'inizio del loro ciclo vitale. In condizioni sperimentali, la scelta di questi elementi è dettata da un vantaggio: il tasso di reazione, cioè la probabilità con cui i due elementi danno luogo al processo, è elevato a temperature relativamente basse se confrontato con quello che caratterizza altri isotopi leggeri.
Tuttavia, questa reazione produce un intenso flusso di neutroni molto energetici, che rappresentano un significativo rischio radiologico e devono perciò essere schermati con spesse schermature di cemento armato che circondano il reattore. Questi stessi neutroni energetici contaminano i materiali metallici presenti, che successivamente devono essere smaltiti con le opportune cautele.
Lo schema del principio di funzionamento è il seguente: un impulso laser a picosecondi (proveniente da sinistra) colpisce un primo foglio di alluminio spesso 20 micrometri, producendo un fascio di protoni di durata brevissima che si scontra con un plasma di ioni di boro-11 prodotto da un laser a manosecondi. Un secondo strato di alluminio protegge il primo foglio dal laser a nanosecondi. Recenti progressi nella tecnologia laser nelle conoscenze sulle interazioni tra laser e plasmi, e sui fasci di particelle accelerate mediante fasci laser hanno aperto nuove prospettive per la realizzazione di combustibili per la fusione basati su reazioni nucleari “a-neutroniche” che producono meno radiazioni ad alta energia. Per esempio, nel caso della reazione di fusione di un protone con un nucleo di boro-11, un isotopo del boro, si producono tre nuclei di elio, quindi in linea di principio senza emissione di neutroni energetici. In realtà in condizioni sperimentali, questa, come altre reazioni, e accompagnata da reazioni secondarie, con una seppur limitata produzione di neutroni.
Inoltre, il boro è un elemento abbondante e più facile da maneggiare rispetto al trizio. Ad alte temperature, il tasso di fusione di equilibrio termico della reazione tra protone e boro-11 è confrontabile con quello della reazione deuterio-trizio. Rimane però un problema sperimentale non indifferente, poiché utilizzando uno schema di compressione dei reagenti mediante laser a simmetria sferica, il più comune negli esperimenti effettuati finora, sarebbe necessaria un'energia eccessiva. Un'altra difficoltà riguarda il fatto che, a causa delle perdite di energia dovute ad altre forme di radiazione, la reazione di fusione difficilmente potrebbe arrivare ad auto-sostenersi, cioè a continuare a prodursi spontaneamente una volta accesa.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaBNCT
(Boron Neutron Capture Therapy)
La BNCT `e una tecnica di radioterapia che sfrutta l’elevata sezione d’urto di cattura di neutroni termici da parte del 10B. I prodotti di reazione (10B(n,α)7Li) rilasciano la loro energia in pochi µm cio`e all’interno della cellula contenente l’atomo di 10B colpito; la tecnica risulta particolarmente selettiva a causa del maggior assorbimento di 10B da parte delle cellule tumorali rispetto alle cellule sane. La BNCT viene praticata principalmente negli Stati Uniti ed in Giappone; in pochi altri paesi avvengono trattamenti di questo tipo. Il motivo che ha ostacolato l’evolversi e la diffusione di questa
terapia `e la difficolta nel reperire sorgenti di neutroni opportune. Attualmente la BNCT `e infatti strettamente legata all’impiego di reattori nucleari i quali rappresentano le uniche sorgenti in grado di fornire gli elevati flussi
neutronici necessari.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaPRIMA PARTE
Attivazione neutronica
Il processo di attivazione neutronica consiste nella produzione di un isotopo instabile attraverso l’assorbimento di neutroni da parte dei nuclei presenti nel
materiale da analizzare. In generale si sfrutta la reazione (n,γ) per neutroni termici, oppure (ma molto meno nella pratica) reazioni del tipo (n,p), (n,α), (n,2n) con
neutroni di fissione e veloci. Tornando alla reazione (n,γ), il fotone emesso a seguito della reazione ha in genere una energia di 6÷8 MeV (l’energia di legame del neutrone
catturato) e viene detto “pronto” in quanto emesso all’istante della reazione nucleare. Il nucleo formatosi contiene un neutrone in più e molto spesso è soggetto
a decadimento β-
Le particelle β- e gli eventuali fotoni del decadimento non vengono emessi istantaneamente, ma con la solita legge temporale che è legata alla costante di decadimento λ del nucleo X A 1 Z+ . Se sono note le sezioni d’urto di produzione (n,γ) dell’isotopo X A 1 Z +, il flusso di neutroni impiegato e la percentuale in natura dell’isotopo precursore, si può risalire alla quantità di specie atomica selezionata presente nel campione. Si tratta di una tecnica utilissima per l’analisi in tracce di campioni spessi in quanto sia i proiettili (neutroni) che le particelle da rivelare
(fotoni) possono attraversare discreti spessori di materia senza essere assorbiti.
La tecnica dell’attivazione neutronica consiste quindi in:
• esposizione del campione contenente l’elemento stabile da analizzare ad un flusso di neutroni termici (generalmente provenienti da un reattore nucleare) per un
tempo prefissato;
• estrazione del campione irradiato e misura della radioattività γ indotta;
• calcolo della quantità di elemento stabile presente, noto l’elemento radioattivo, la
sezione d’urto della reazione, l’energia e la probabilità di emissione dei fotoni analizzati, ecc.ecc.
Generalmente si misura l‘attività gamma anziché beta perché: l’energia dei gamma è monocromatica, pertanto definita e caratteristica dell’elemento;
la radiazione gamma è penetrante, e quindi lo spessore del campione può anche essere notevole.
I vantaggi dell’analisi mediante attivazione neutronica rispetto ad analisi chimiche sono:
- misura simultanea di diversi elementi;
- selettività: consente la misura di parametri indipendenti quali l’energia dei gamma e la vita media del radionuclide;
- vasta applicabilità: non é praticamente applicabile solo se il tempo di dimezzamento è molto breve o molto lungo , oppure nel caso dei puri emettitori beta con energia molto bassa;
- alta sensibilità.
Gli svantaggi sono:
- necessita di una sorgente di neutroni (costi, rischio, …)
- nessuna possibilità di discriminazione chimica (stati di valenza, legami, ..)
- non é applicabile per l’analisi di puri emettitori beta: 3
H, 14C, 32P, 10B
Dosimetria per neutroni
Le caratteristiche fondamentali di un buon dosimetro per neutroni, a prescindere dal tipo di radiazioni oggetto, sono brevemente elencate di seguito:
• linearit`a della risposta in funzione della dose;
• indipendenza dall’energia della radiazione incidente, o se si preferisce, curva di risposta piatta su tutto l’intervallo di interesse, ossia stessa reazione del rivelatore se posto a contatto con radiazioni di diversa energia;
• ripetibilit`a elevata e grande possibilit`a di utilizzo;
• minima perdita di informazioni nel tempo e in funzione delle condizioni
ambientali;
• bassa influenza della radiazione di fondo.
SEGUE SECONDA PARTE
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaSECONDA PARTE
2 – Metodo di caratterizzazione delle sorgenti di neutroni
• copertura di un ampio range di misura in termini di dose equivalente
(0.1 mSv - 10 Sv );
• isotropia della risposta angolare entro l’angolo solido in avanti;
• indipendenza dal rateo di dose fino ad almeno 10 Sv s−1;
• accuratezza della risposta sufficiente a soddisfare le raccomandazioni formulate nelle competenti sedi internazionali.
Non esistono dosimetri che soddisfino tutte queste caratteristiche e, contemporaneamente,
che siano sensibili a tutti i tipi di radiazioni, quindi in genere
in presenza di campi misti di radiazioni è necessario munirsi di diversi tipi di dosimetro.
I problemi connessi alla dosimetria neutronica sono in genere molteplici e di difficile soluzione, in quanto le misure che devono essere effettuate sono per lo più svolte in campi di energia non nota, diversi da quelli a cui sono
calibrati gli strumenti. Si consideri poi che molto spesso i dosimetri per neutroni impiegati non sono totalmente insensibili alla radiazione , che sempre accompagna quella neutronica e che non esistono rivelatori aventi una curva
di risposta piatta su tutto l’intervallo di energie neutroniche d’interesse.
Inoltre lo spettro energetico dei neutroni, prodotti da qualunque sorgente si estende solitamente su diverse decadi di energia, da 0.025 eV (neutroni termici) alle decine di MeV (neutroni veloci) e i fattori di conversione dose flusso variano di oltre due ordini di grandezza nel range eV-MeV .
Se si vogliono quindi effettuare misure integrali di dose su ampi intervalli energetici esiste il problema di scegliere il fattore di conversione che varia notevolmente. Tale problema può essere risolto tramite l’acquisizione
dello spettro neutronico che permetterebbe di ottenere le grandezze dosimetriche di interesse tramite i fattori di conversione dose /flusso.
E’ quindi di estrema importanza utilizzare un sistema di spettrometria neutronica soprattutto per quanto riguarda il range delle energie veloci.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaNational Ignition Facility
La National Ignition Facility (o NIF, in italiano Struttura Nazionale di Ignizione) è una installazione di ricerca sulla fusione a confinamento inerziale basata su laser presso il Lawrence Livermore National Laboratory a Livermore negliStati Uniti.
Il NIF usa dei laser per riscaldare e comprimere piccole quantità di idrogeno fino a che non si avvia una reazione difusione nucleare. Il sistema è composto da 192 laser.
È il più grande ed energetico strumento di confinamento mai costruito al giorno d'oggi, e il primo dal quale ci si aspetta il raggiungimento dell'obiettivo di una reazione di fusione autosostenuta.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaITER
ITER (acronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor, inteso anche nel significato originale latino dipercorso/"cammino") è un progetto internazionale che si propone di realizzare un reattore sperimentale a fusione nucleare in grado di produrre più energia di quanta ne consumi per l'innesco e il sostentamento della reazione di fusione. Nello specifico, ITER è un reattore deuterio-trizio in cui il confinamento del plasma è ottenuto in un campo magnetico all'interno di una macchina denominataTokamak.
La costruzione è in corso a Cadarache, nel Sud della Francia ad opera di un consorzio internazionale composto da Unione europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d'America, India, Corea del Sud. ITER è un reattore sperimentale, il cui scopo principale è il raggiungimento di una reazione di fusione stabile (500 MW prodotti per una durata di circa 60 minuti) validando e, se possibile, incrementando le attuali conoscenze sulla fisica del plasma. L'energia in eccesso ottenuta dalla reazione nucleare non sarà immessa sulla rete elettrica, né utilizzata per scopi commerciali. Nel corso della costruzione e dell'esercizio di ITER saranno integrate e collaudate molte delle soluzioni tecnologiche nel campo della criogenia, della superconduttività e delle tecniche di vuoto spinto necessarie per il futuro prototipo di centrale elettrica a fusione.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaNuclear fusion, JET and ITER
ITER is the project to demonstrate the feasibility of magnetic-confinement nuclear fusion that is currently under construction in Cadarache, France – and its predecessor and pilot project, the Joint European Torus (JET) at Culham in Oxfordshire.
In 1997, JET set the world record for producing the largest amount of power (16MW) from fusion using deuterium-tritium (D-T), the fuel proposed for the first generation of fusion power plants. After a period of upgrades, the project is preparing an attempt at breaking that record.
The follow-up programme, ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), will attempt to go a step further and generate more power than is used to start the process.
Typical input fuels for fusion will be deuterium and tritium – both isotopes of hydrogen with the latter being radioactive. The products of the reaction will be helium and fast neutrons. The neutrons can cause activation of materials they pass through. As a radioactive gas, tritium is a very low energy beta emitter and has a half-life of about 12.6 years. However, it is highly mobile and can contaminate most materials it comes in contact with. All fusion machines vary but JET, located at Culham in Oxfordshire, and ITER, being constructed at Cadarache in France, will both have their inner, plasma-facing walls constructed mostly of beryllium – a toxic metal, which presents significant health hazards if minute particles are inhaled.
In practice this means the major hazards associated with operating JET or ITER are beryllium contamination, radiation from fast neutrons, tritium and the activation products in components removed from the machine. There is no possibility of the reaction going critical – a major failure of the tokamak and loss of vacuum will merely lead to the loss of the plasma and thus the reaction extinguishing. During a reaction the level of neutron flux is such that all personnel are excluded from within the biological shield (thick concrete containment) whilst the machine is operating. All operation and maintenance of the machine is overseen by health physics staff who monitor levels of tritium and beryllium, declaring radiological and/or beryllium contaminated controlled or supervised areas as necessary.
With regard to waste, the first thing to say is that the production of waste is relatively modest, with most coming from maintenance activities or redundant components when the current research machines are re-configured. The main concern with the waste is radioactive contamination both from tritium and activation products, which will be relatively short-lived. Whilst much of the waste will be below the thresholds to even be considered as radioactive waste, there is some low level waste and a very small proportion will be classified as intermediate level waste. However, within 100 years or so, all of this material can be recycled or disposed of conventionally, leaving no long-term radioactive legacy for future generations to deal with.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaVERSO IL NUCLEARE PULITO
Scoperta e Sfruttamento delle Reazioni Nucleari Ultrasoniche
Il Torio 228 , il cui nucleo è composto da 90 protoni e 138 neutroni è un esa-alfa emettitore ossia si trasforma radioattivamente emettendo sei particelle alfa che formano su una lastra fotografica di policarbonato CR39 una immagine come delle dita di una mano aperta.
Per questo la sua radiazione specifica si riconosce in modo inequivocabile anche in mezzo ad altre radiazioni ambientali.
Il tempo in cui la sua radiazione diviene la metà ed il suo contenuto si dimezza, è di circa due anni.
Furono preparati 12 campioni da 300 millilitri di acqua con Torio di cui 4 servirono da riferimento e gli altri 8 vennero sottoposti a cavitazione per 90 minuti.
Sul fondo di ciascuna camera di reazione venne posta una lastra fotografica di policarbonato CR39 .
Al termine vennero analizzati con uno spettrometro di massa ad alta risoluzione (quadrupolare a settore magnetico) i campioni cavitati e non riscontrando che sistematicamente il contenuto di Torio era dimezzato nei campioni sottoposti ad ultrasuoni rispetto a quelli non sottoposti.
Le variazioni degli elementi riscontrate portarono a concludere che potevano essersi verificate reazioni in cui i nuclei di elementi si erano divisi dando luogo a fenomeni di nucleolisi (non di fissione) , o addirittura nuclei di elementi anche differenti si erano uniti dando luogo a fenomeni di nucleosintesi (non di fusione) .
Non è possibile per ora poter dire di più che coniare nomi nuovi per fatti nuovi, che sono tali a causa sempre dell’assenza di radiazione gamma che altrimenti avrebbe dovuto accompagnare immancabilmente fenomeni di fissione dei nuclei, per non parlare di fusione.
Riguardo la fusione dei nuclei basti una considerazione elementare, ossia se per fondere Deuterio o Litio sono necessarie temperature di diecine di milioni di gradi, per nuclei appena più pesanti, per non parlare del Ferro, si può arrivare a diecine di miliardi di gradi ed è veramente molto difficile ritenere che il collasso della cavitazione possa realizzare a livello microscopico queste fantastiche temperature.
Il discorso di variare la geometria a livello microscopico per arrivare a queste reazioni di nucleosintesi, o nucleolisi richiede ulteriori prove ed esperimenti.
Nondimeno il caso del Ferro e del Torio potrebbero divenire emblematici di un altro fatto, che il superamento della soglia di deformazione è un po’ un attraversare “lo specchio di Alice” per entrare in un luogo in cui il Ferro inerte emette neutroni anche se è il più sfavorito per farlo, mentre il Torio radioattivo perde la sua radioattività in un tempo troppo breve producendo una situazione inerte. Un luogo in un certo senso capovolto proprio come attraverso lo specchio.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaLa fusione fredda è di origine chimica, nucleare o qualcosa d’altro?
La fusione fredda non può essere un processo chimico perché non consuma alcun combustibile chimico e non produce alcun tipo di ceneri chimiche. Le celle di fusione fredda contengono principalmente acqua, che è una sostanza inerte che non può bruciare o avviare alcun altra reazione esotermica. Le celle contengono anche idruri metallici, i quali possono produrre piccole quantità di calore di origine chimica, ma le celle di fusione fredda producono centinaia di migliaia di volte più energia di una cella chimica di qualsiasi dimensione. In alcuni casi, questa grande energia in uscita è il prodotto di un livello molto basso di potenza integrato in un lungo periodo, ciò che potrebbe significare un errore. Un ricercatore può erroneamente pensare di misurare un eccesso di 50 milliwatt, quando in realtà non vi è alcun eccesso. Ma molti esperimenti hanno prodotto una potenza molto più alta, da 500 a 10 000 milliwatts (0.5-10 watts), e questa grande quantità di calore può essere misurata con grande accuratezza.
La fusione fredda produce ceneri nucleari invece che chimiche che includono: elio, un numero piccolo di neutroni, e in qualche caso trizio e trasmutazioni nel metallo ospite. Essa produce qualche volta grossolani cambiamenti fisici come metallo fuso o vaporizzato.
DA DR. COTELLESSA
RispondiEliminaPamela Mosier-Boss, chimica del U.S. Navy' s Space and Naval Warfare Systems Center (SPAWAR) di San Diego, California, ha annunciato, anche a nome di altri ricercatori, di avere ottenuto per la prima volta la prova che la fusione fredda esiste e che si tratta di un processo nucleare, come proverebbero le abbondanti tracce di neutroni registrate nel corso di vari esperimenti. Questa volta, spiega la ricercatrice, la cella elettrolitica contiene deuterio mescolato a cloruro di palladio e gli elettrodi sono fatti con fili di nikel o di oro. «Oltre ai neutroni, le cui tracce sono state evidenziate da un rivelatore di CR-39 posta accanto alla cella -spiega la Mosier-Boss-, il fenomeno è accompagnato dall’eccesso di calore, dall’emissione di raggi X e dalla formazione di trizio. Tutti indizi a sostegno dell’avvenuta fusione del deuterio»