SEGNALATO DAL DR.
GIUSEPPE COTELLESSA (ENEA)
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/24/parto-ecco-lodon-device-per-evitare-luso-di-forcipe-e-il-cesareo-demergenza/1073243/
Parto, ecco “l’Odon device” per evitare l’uso di forcipe e
il cesareo d’emergenza
Jorge Odón è un meccanico argentino, ma questa storia non ha
niente a che vedere con macchine e motori. Quest’uomo, infatti, ha inventato un
dispositivo che potrebbe semplificare i parti vaginali operativi. In un caso su
dieci, infatti, la fase espulsiva del feto si prolunga eccessivamente,
favorendo l’insorgere di complicazioni. I ginecologi possono allora adottare
due soluzioni: il parto operativo, attraverso l’utilizzo del forcipe o della
ventosa, oppure il cesareo d’emergenza.
L’Odón device, questo il nome dell’apparecchio, potrebbe
essere una novità assoluta qualora si decida di procedere con il parto
operativo, trattandosi di uno strumento che agisce in maniera meno invasiva
sulla madre e sul bambino. Il dispositivo è realizzato da un sacchetto di
polietilene e da un manico in teflon, al termine del quale è situata una
piccola ventosa che viene appoggiata sulla testa del feto. A quel punto sia il
ginecologo che l’ostetrica possono provvedere a pompare una quantità minima di
aria attraverso l’apposito condotto, garantendo una presa sicura e delicata
intorno alla testa del bambino e una trazione più facile attraverso il canale
del parto.
Quest’idea è venuta a Jorge Odón osservando il modo in cui
due colleghi estraevano un tappo di sughero caduto dentro una bottiglia di vino
attraverso l’utilizzo di un sacchetto di plastica. I due, infatti, avevano
infilato la busta nel collo di vetro, lasciandone fuori soltanto i manici.
Inclinando la bottiglia, il tappo entrava in contatto con il sacchetto, che
veniva poi gonfiato d’aria. A quel punto bastava tirare i manici e il gioco era
fatto.
Odón, che aveva già assistito ai parti dei suoi cinque
figli, pensò che quel metodo poteva essere una soluzione efficace anche nella
fase espulsiva del parto, qualora le spinte della madre non bastassero a far
venire fuori il bambino. Con caparbietà il meccanico si mise a fare delle prove
con un utero di vetro e una bambola e gli esperimenti sembravano dargli
ragione. Ma farsi ascoltare da un medico non era facile; Odón, tuttavia, ebbe
la fortuna di incontrare Javier Schvartzman, un ostetrico del Cernic che, dopo
un momento di smarrimento, comprese il potenziale di quell’idea. Da quel giorno
la strada è diventata tutta in discesa. Al momento, infatti, il dispositivo è
sottoposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a un test su 100 donne con
gravidanze senza complicazioni in Argentina e in Sudafrica.
Ma il condizionale è ancora d’obbligo; come spiega Serena
Donati, ricercatrice dell’Istituto Superiore della Sanità, al
fattoquotidiano.it: “Bisogna chiarire che il dispositivo non si trova negli
ospedali e che è ancora in fase di sperimentazione. Gli studi di validazione
sono necessari a dimostrarne l’efficacia e la sicurezza, sia per la madre che
per il bambino”.
Qualora fornissero delle risposte positive, l’apparecchio
potrebbe essere la risposta ad alcuni problemi: “È uno strumento che sembra
comportare minori rischi per il bambino e per la mamma – spiega -; talvolta il
forcipe può causare danni al tratto genitale della donna e, come anche la
ventosa, può essere responsabile di danni neonatali”.
Sicuramente il dispositivo avrebbe maggiore successo nei
paesi più poveri, dove spesso mancano le attrezzature e il personale è carente:
“Una volta verificata la sicurezza e l’efficacia dell’apparecchio, questo
potrebbe trasformarsi in uno strumento molto prezioso per i paesi più
svantaggiati, dove il rapporto di mortalità materna è ancora altissimo”,
conferma la Donati. Secondo gli ultimi dati dell’OMS, infatti, in Africa1 donna
su 40 rischia la vita per complicanze durante la gravidanza o il parto, mentre
in Europa i numeri parlano di 1 donna ogni 3300.
Inoltre, l’Odón device dovrebbe ridurre il rischio di
trasmissione del virus dell’Hiv – altissimo in alcune zone dell’Africa – dalla
madre al bambino, limitando il contatto con le mucose del canale del parto. A
questo si aggiunge il basso costo di produzione dell’apparecchio, stimato
intorno ai 50 dollari, che favorirebbe la diffusione dello strumento nei paesi
del Terzo Mondo.
La questione cambia quando veniamo in contatto con le realtà
più vicine a noi: “Per quanto riguarda il nostro Paese, lo strumento potrebbe
essere un ausilio durante i parti operativi, che tuttavia riguardano soltanto
il 3-5% dei nati totali. Per questo è difficile che lo strumento rappresenti
una soluzione per l’eccesso dei cesarei in Italia. I professionisti sanitari
hanno difatti perso competenze nell’arte ostetrica e preferiscono ricorrere al
taglio cesareo che nella maggior parte dei casi viene programmato prima
dell’inizio del travaglio”, conclude la Donati.
Anche se nei paesi sviluppati l’apparecchio non dovesse
segnare un grande cambiamento, in quelli meno avanzati potrebbe essere di aiuto
sia alle donne che ai bambini. Motivo per cui Jorge Odón ha concesso il
brevetto a una condizione: nel Sud del mondo il dispositivo dovrà essere
venduto al suo prezzo di costo, non un dollaro di più.
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